
trabocchi
I trabocchi sono "macchine per la pesca", ancorate alla terra e penetranti nel mare, abitate e manovrate da uomini molto abili, i "traboccanti", che da questo duplice rapporto terra-mare e dall'estrema difficoltà di realizzare risorse, traggono ragione dei loro comportamenti esistenziali. I trabocchi sono impalcature fatte di travi e tavolato, installate sopra a delle scogliere, che permettono di pescare con reti o altri marchingegni nello spazio di mare antistante.
Essi sono ancora in bella mostra lungo la costa, e non manca chi si stupisce nel vederne le ardite costruzioni sull'acqua, di scoglio in scoglio, o gli argani e l'intreccio di funi e reti che sfidano i venti marini e le più forti burrasche.
Dietro a queste macchine per la pesca vi è una lunga storia, una vicenda di uomini e di ingegni rimasta sconosciuta ai più, e che risale alle migrazioni di alcuni nuclei familiari provenienti dai territori d'Oltralpe: profughi, insomma, ebrei scacciati dalla Spagna o dalla Germania e che si stabilirono infine sulle coste abruzzesi, popolate già da altri ebrei giunti in età aragonese, portandovi i propri mestieri e le proprie abilità.
Il tratto della costa abruzzese su cui si insediano questi nuclei di esuli ebrei all'inizio del XVIII secolo è compreso tra la Marina di San Vito Chietino e Rocca San Giovanni, in piena Frentania, martoriata da terremoti e maremoti sino a qualche decennio prima, resa inospitale, praticamente disabitata anche per l'insistenza di epidemie che vi hanno imperversato per oltre mezzo secolo.
I gruppi parentali protagonisti sono quello dei Verì, abili fabbri e falegnami, proveniente dai valichi francesi, ma di origne spagnola, e quello degli Annecchini, abili tessitori e funai, arrivato dalle contrade tedesche; entrambi si insediarono in prossimità di San Vito, sui due costoni di Valle Canale, ricchi di vegetazione spontanea, di grotte naturali, di acque sorgive e a pochissimi metri dal mare, dove i Verì danno inizio alle loro costruzioni in legno: dapprima semplici passerelle per catturare "a vista", con arpioni e fiocine, il pesce abbondante, poi delle macchine più complesse che assumono la forma dei trabocchi, con l'impalcato, i canapi e le travi per le reti.
Si avvia, così, l'epopea dei traboccanti, con al centro le figure inconsuete degli "Scirocco", impavidi costruttori che seppero ben presto portare a perfezione la struttura del trabocco, impiegando le querce e i lecci cresciuti sui pendii costieri esposti a sud, e dunque più resistenti degli altri legni, abbattuti durante la fase lunare calante ad agosto, scortecciati ancora verdi e messi ad asciugare per circa sedici mesi, per essere infine utilizzati al termine dell'estate successiva.
Fonte: "Trabocchi Traboccanti e Briganti" di Pietro Cupido
Credits: @ingiroapiunonposso